Stoccafisso di Natale.

Potrò proporre quello della figura che segue per la ricetta dello stoccafisso di Natale?

Direi proprio di no!

Perché?

Ma perché non c’è il rosso!

Chissà per quale ragione, insieme all’oro e al verde, quella tinta è la portavoce  della coreografia  natalizia? Potremmo ipotizzare che è il colore ancestrale, quello del sangue; o che è, come l’oro, storicamente legato alla regalità ed al potere. Per il verde possiamo  immaginare che sia il colore degli abeti di natale dell’emisfero boreale. Comunque sia sembra evidente che il nostro “stocco” (è così chiamato nell’Italia centro-meridionale), in questo periodo, va proposto al pomodoro.

La ricetta non è certo una “chicca” perché di preparati di baccalà con quel pomo se ne trovano ovunque: baccalà bollito alla portoghese, stoccafisso fritto alla livornese, stoccafisso in teglia alla napoletana, baccalà in guazzetto alla romana, stoccafisso all’anconetana, stoccafisso alla messinese, stoccafisso in potacchio, stoccafisso alla ligure, stoccafisso con patate e datterini rossi e gialli del piennolo…

... se andiamo, poi, a cercare altre formule lo troviamo mantecato,  o lavorato in terrine,  polpette…

… crocchette,  quiche,  bignè,  soufflè,  tortilhas (frittate), in empadas ( piccoli sformatini avvolti di pasta sfoglia-utili come finger food) e poi ancora con peperoni, visciole, prosciutto, uova, funghi, spinaci, erbe aromatiche, formaggio, gamberi, cavoletti di Bruxelles… si presta, insomma, ad una varietà di combinazioni da fare invidia alla pasta!

Magari l’utilizzazione dello stoccafisso è meno scontata. Come abbiamo, infatti, letto in “The Viking way of the cod” (vedi), se pur siamo la nazione che ne importa di più, sono solo cinque le regioni italiane che ne fanno largo uso: la Calabria, la Campania, la Liguria, il Veneto e la Sicilia. Si aggiungono due “isole” cittadine: Livorno e Ancona.

Ma perché questa disribuzione? Non può essere la conseguenza di abitudini alimentari diverse tra nord e sud perché se, da una parte, abbiamo Veneto e Liguria, dall’altra, troviamo Sicilia, Calabria e Campania.

Di Ancona posso raccontare ciò di cui fui testimone oculare nella casa romana dei nonni paterni che vedete sopra in due scatti dei primi del ‘900. In quella dimora in cui, lei anconetana di nascita e di fatto e lui materano di nascita ma non di fatto ( appena potette, abbandonò la città natale), il venerdì era… consacrato allo stoccafisso!

Lì, dove vissi fino a cinque anni, ero spesso attaccato alle gonne di Luisa, la sguattera tuttofare con la quale mi trovavo più a mio agio che con i gradi superiori della gerarchia della grande e pretenziosa cucina: Rosaria, la chef e l’unica che poteva tenere testa alle fantasie culinare di  nonno Domenico e Virginia, la salsista.

Le giravo intorno pedalando su un triciclo di legno ma quando arrivava lo stoccafisso, già bagnato dal macellaio di via Flavia e Luisa si accingeva a spellarlo e spinarlo… mi dileguavo! Credo che il fetore fosse assai simile a quello di oggi. 

Ma è mai possibile che quell’odore che scompare completamente con la cottura possa essere la causa del mancato apprezzamento del prodotto in alcune aree italiane? Una conferma mi è stata fornita dal proprietario di una celebre salsamenteria romana sita in un quartiere borghese: “a dottò… per un periodo l’ho tenuto ‘o stoccafisso, poi, quanno me so sentito dì, da ste quattro mantenute der quartiere che nun sanno  fà n’ovo ar tegamino, ch’er pesce er’annato a male…”

Ma siccome è improbabile che in alcune regioni ci siano nasini più delicati di altre, credo che la variabilità di apprezzamento vada ricercata, non so dove, ma altrove…

Comunque, con un pò di buona volontà, lo si trova anche a Roma. Personalmente lo ritiro al bar vicino casa, da Marianna!… su, non ridete! Aspettate almeno la fine del racconto… 

Il sabato mattina la Marianna (ovviamente quella in mezzo) si reca alla Metro per fare acquisti per  l’esercizio mentre i fratelli  Cosimo e Domenico (rispettivamente quello senza e con cuffietta ) si occupano del clienti del bar Euro 2000. In quel megasupermercato c’è un reparto pescheria di buon livello al quale arriva, saltuariamente, lo stoccafisso delle isole Lofoten che viene battuto, bagnato e messo sottovuoto da una società di distribuzione alimentare italiana della provincia di Teramo.

State alla larga dagli stoccafissi non trattati… la battitura ( che serve a sfibrare le carni del pesce essiccato) e l’ammollo per 3-4 giorni cambiando spesso l’acqua ( per reidratare lo “stocco”), se fatti in casa, vi faranno odiare quel pesce! C’è chi lo fa per noi e ce lo mette sottovuoto consentendone la conservazione in frigo per più di un mese… una volta aperto si può, comunque, congelare. Considerate che quello della foto più in basso, come lo vedete, pesa 2 Kg ed è lungo 70 cm…

La saltuarietà degli arrivi è dovuta alla bassa richiesta romana che è più indirizzata verso il baccalà.

La Marianna si fa sempre dare lo stoocfisso della migliore qualità: il “Ragno”. Questo è ottenuto dalla specie denominata Gadus Morhua essiccato 3 mesi (v. The Viking way of the cod). 

La qualità è stabilita in base alla pezzatura del pesce ed alla polposità della sua carne e quelle successive al ragno, ma pur sempre di prima scelta sono nell’ordine: Westre magro, Westre Demi Magro, Grand Premier Lub, Bremer, Hollender, Westre Courant, Westre Ancona, Westre Piccolo. 

Un buon ragno deve presentare:

Forma naturale e ventre aperto.
Collo e ventre puliti.
Assenza di ecchimosi e macchie di muffa.
Assenza di danni causati dal gelo.
Pelle di colore brillante.

Ed ecco l’ultimo ragno della Marianna:

Il ventre è stato aperto a libro ed accuratamente pulito dopo l’asportazione della testa e del collo con tutte le branchie. Nell’immagine vediamo le due superfici dello stesso pesce: quella superiore è l’esterna con pelle brillante. Quella inferiore è l’interna ottenuta ruotando di 180°la soprastante sull’asse maggiore. La carne è bianca senza macchie o ecchimosi e, fortunatamente, la foto non rende l’odore! Una curiosità: sulla coda potete vedere il segno lasciato dalla corda che ha, per 3 lunghi mesi, appeso il merluzzo alla rastrelliera. 

Chiusa la porta della cucina, aperta la finestra ed impugnato il coltello da sfilettamento…

…spelliamo la superficie esterna… non bisogna tagliare né troppo superficialmente né troppo profondamente… ben lo sanno i chirurghi plastici… ma non vi  dico perché altrimenti non mangiate. Dovremo, ora, spinarlo e tagliarlo a tocchi… quelli della parte centrale saranno più spessi e lo dovremo considerare al momento della cottura … .

Vi proporrò una stessa ricetta con due procedimenti… il primo è quello usuale che facciamo abitudinariamente come i nostri genitori e i nostri nonni ed il secondo che unisce i sapori  solo al momento della composizione del boccone nel piatto. Non ho mai amato molto quei “papponi” in cui tutto cuoce insieme… “così si insaporisce meglio”…  dicono. Inoltre il secondo permette una più elegante presentazione.

La ricetta più tradizionale inizia facendo andare in olio evo della cipolla bianca e dei filetti di alice (1). A doratura dell’ortaggio e disfacimento dei pescetti (2) si incorpora della passata di pomodoro o dei pelati che verranno ridotti in pezzi (3). Dopo breve cottura si aggiungono delle olive verdi e nere denocciolate e dei capperi piccoli ( che, ormai, troviamo anche al supermercato). Amalgamiamo il preparato per due, tre minuti e…

Disponiamo i pezzi più spessi che richiederanno una cottura più lunga (5). Facciamo andare rimestando con molta delicatezza perché lo “stocco”  è friabile e si “slamella” facilmente (6). Dopo una decina di minuti aggiungiamo i pezzi meno spessi (7) e…

…  completiamo la cottura del “pappone”per ulteriori 20-30 min. Ovviamente questi tempi sono indicativi e da adattarsi alle dimensioni dei pezzi. Facciamo riposare il tutto aggiungendo dei tocchetti di patate lessate che consiglio di cuocere a parte anche in questa prima versione: i vari tipi di tubero hanno una notevole variabilità di cottura ed è difficile accordarla con quella dello stoccafisso. Allestiamo il piatto:

Ed eccolo qui: rosso, verde, oro e… natalizio!

Lo vogliamo ora “fare strano”… come Claudia Gerini con Carlo Verdone? Beh… mutatis mutandis, perché no?

Come ho detto cambierà la procedura ma gli ingredienti saranno i medesimi… ahahah… come nel film!…

La figura 8?… no, non sono fettine di uovo sodo… si tratta di anelli di cipolla con olio nuovo al loro interno! Ebbene si!…  quello dell’acquisto e del travaso dell’olio evo  ancora “piccantino” nella prima metà di novembre è un rituale affascinante… fa parte di quella declinazione che stiamo dimenticando sotto i colpi distraenti e martellanti che carta stampata e screen vari ci propongono: tragedie da cronaca nera, patetici spettacoli con test di novelli chef ed esordienti cantanti, spread sempre foriero di disgrazie imminenti, incuria del territorio ed avvelenamento dell’aria,  femminicidi, folle di indottrinati e supponenti politici ed economisti che la vedono sempre al contrario di chi sta al potere… insomma…

una mezza giornata a prendere l’olio al frantoio e un bel travaso non ci può che far bene!  

… i passaggi 9, 10 e 11, come vedete, sono i medesimi ma, a questo punto, ci si ferma e la base del piatto è pronta!

Si passa, dunque, alla cottura dei pezzi di stoccafisso…

… che io consiglio in latte salato. Il sale, diversamente dal baccalà e con buona pace del cardiologo, è necessario! Lo stocco, nella migliore delle ipotesi, non ne possiede che la quantità che la natura ha previsto per lui. È necessario dosare bene la fiamma perché, come tutte le cotture nel latte, il liquido tende a “montare”. La cottura deve essere prolungata… 30 min o più a seconda delle dimensioni dei pezzi.

Mentre giocate con intingolo e stocco ricordatevi di bollire delle patate… novelle se volete!

Componiamo il piatto e… 

Buon Natale!


3 commenti Aggiungi il tuo

  1. kitchenclue ha detto:

    Bell’articolo davvero!

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  2. dino e paola ha detto:

    Grazie Mimmo quanti ricordi, bellissimo il triciclo in legno.
    La mia mamma preferiva quello in guazzetto alla romana ma il mio papà da buon napoletano lo preferiva in teglia e lo acquistavamo in un piccolo negizio di alimentari vicino casa ed era esposto in bella mostra all’entrata ogni venerdì .
    Quando Paola ha letto la tua ricetta si è ricordata che alla scuola elementare la “Guido Alessi” di Roma lo servivano in bianco con olio e limone ed era una delle poche volte che mangiava quello che la scuola cucinava.
    Grazie e non dimentichiamo le frittelle di baccalà.

    Paola e Dino

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  3. Mimmo Paolicelli ha detto:

    Grazie del gradito commento… anche perché, come spero sempre, la storiella di sfondo ambientale del piatto evoca ricordi. Anch’io, come Paola, lo preferisco in bianco e, con olio e limone, lo trovo tanto poco intrigante quanto gustoso.

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