Alle h. 22.02 di venerdì 22 settembre 2017 ci sarà l’equinozio d’autunno! Niente paura!… non ci accorgeremo, come sempre, di nulla… si tratta solo di quell’attimo in cui il giorno ha la stessa durata della notte… dopo una frazione di secondo la notte comincerà ad avere il sopravvento. L’istante ha una piccola variabilità da un anno all’altro… p.es. nel 2016 è caduto alle ore 14.21 dello stesso giorno.
La più netta sensazione di cambiamento la proveremo al risveglio di domenica 23 ottobre quando il cellulare, alle ore 03.00 della notte, approfittando del nostra distrazione, andrà avanti di un’ora mettendosi in pari con il tempo astronomico.
Ma la rimonta delle tenebre non durerà molto perché il 22 dicembre (e non il giorno di S.Lucia che è il 13 dicembre), inizierà la riscossa della luce… il solstizio d’inverno, quello del giorno più corto.
Il detto “Santa Lucia il giorno più corto che ci sia” si riferisce al periodo precedente l’introduzione del Calendario Gregoriano (1582)… la festa cadeva, allora, in prossimità del solstizio d’inverno.
Ma il buio farà la stessa fine di Antonello da Messina, nella tris di Cesena del film “Febbre da Cavallo”… raggiunto e superato da Soldatino! Il pareggio avverrà intorno al 20 marzo, l’equinozio d’estate, e la vittoria intorno al 20 giugno, il solstizio d’estate… il giorno più lungo!
Queste date segnano il passaggio astronomico da una stagione all’altra. Il calendario meteorologico, sulla base di medie climatiche, fa andare l’autunno dal 1 settembre al 30 novembre.
Ma come si fa ad applicare l’uno o l’altro calendario in un paese in cui il 2 di questo mese, mentre in Val Gardena nevicava, a Mondello si faceva il bagno? D’altra parte condividiamo la caratteristica con altri Paesi… pensiamo all’Argentina!
Comunque quello astronomico è il più seguito e noi ci adegueremo ad esso per la nostra ricetta equinoziale… metà estate e metà autunno… una parodia del Tritone in chiave gastronomica!
Vogliamo scegliere il rombo per rappresentare l’estate?… in realtà lui potrebbe essere il portavoce di tutto l’anno ma la sua forma e le sue carni ben si adattano ad uno dei prodotti di terra messaggeri d’autunno… il porcino!
Quando ero piccolo il Boletus Edulis era, nella tarda estate ma anche prima con stagione piovosa, al centro dell’attenzione della mia famiglia.
Allora non esistevano vincoli alla raccolta delle Brise ( così le chiamavano in Trentino) e ricordo un eccesso in cui, capitanati da mia nonna, calabrese di origine e padovana di adozione, si andava in un posto vicino al Passo delle Palade, sul versante alto-atesino, alle cinque del mattino, con le torce e l’ombrello (pioveva), a raccogliere i neonati della notte dove si aveva la certezza di trovarne…
Quando tornando con i cestini colmi ma non ostentati, vedevamo i nuovi raccoglitori parcheggiare l’auto, facevamo battutine sottovoce tra noi…
Con la pubertà, fortunatamente, cambiai interessi ed oggi li vado a cercare, insieme al rombo, al mercato… magari sempre presto e con l’ombrello…
Per la verità le offerte ittiche del mattino erano varie ed interessanti: grandi triglie di scoglio, belle orate, cocci, scorfani e perfino appariscenti pezzogne… ma Nicoletta aveva espresso il desiderio di rombo con i porcini… ed ecco l’occasione per la ricetta del passaggio!
Non sono più a Nettuno e al mercato vicino casa di Roma non c’è Claudia… mi affido, comunque, ad Angelo, il capo storico dei lavoranti della pescheria che riceve il pescato la mattina alle 4.30 e prepara le vendite. Lui è una vittima (soddisfatta) della mia chirurgia e mi sceglie ciò che ritiene opportuno… mi ha proposto un rombo un po’ grande ma doveva essere l’ultimo arrivato…
Al banco vicino c’erano i porcini… nelle chiacchiere dell’acquisto quando non c’è nessuno ( 07.00 del mattino), ho scoperto che anche la fruttivendola ha vissuto la mia stessa esperienza con i porcini, ma lei è stata più esplicita: “ner bosco io ce continuavo a annà!… ma co’ n’antro porcino”… indicando il marito che stava scaricando le cassette di frutta…
Ed eccomi di ritorno a casa…
Il rombo me lo sono fatto sfilettare… si può anche cucinare intero ma il tutto si insaporisce con maggiore difficoltà e l’impiattamento richiede un tempo superiore con eccessivo raffreddamento della pietanza…
Le patate sono un ottimo legante perché assorbono il sapore del fungo e dei pochi aromi che impiegheremo: aglio, pepe nero, prezzemolo intero e disidratato e frantumato, rosmarino.
Questa ricetta, che tutti voi avrete sicuramente realizzato, non richiede, infatti, una moltitudine di ingredienti per ottenere un soddisfacente risultato… anzi! Sbirciando qua e là ne ho letta una in cui veniva addirittura aggiunta abbondante panna da cucina… mah!?
Per la pulizia dei funghi conviene tagliare il gambo ad un paio di cm dal suo innesto nel cappello ed iniziare a “capare” quest’ultimo con un panno umido. La volgarmente detta “barba” è la parte sottostante il cappello e da esso ben distaccabile.
È costituita da tubuli che terminano, all’estremità libera con dei pori attraverso i quali vengono liberate le spore… la credenza che pulendo il gambo del fungo sul luogo della raccolta si liberino le spore è una panzana.
Preferisco sempre togliere la barba perché, anche quando, nel fungo giovane e ben conservato, è bianca e dura, la cottura le conferisce una consistenza molliccia.
Il gambo viene raschiato o privato della sua parte più esterna con il coltello.
Esaurite le chiacchiere… passiamo ai fatti… anche perché, domani, giorno della “transizione”, lavorerò full-time e non avrò tempo per i giochi gastronomici: prendiamo una teglia ben unta con abbondante olio evo… disponiamo un primo strato di fette di patate… saliamo con sale marino grosso, pepiamo con pepe nero macinato al momento, aggiungiamo pezzetti di aglio e aghi di rosmarino. Facciamo un secondo strato con rondelle dei gambi dei funghi tappando gli spazi liberi del precedente livello e ripetiamo l’operazione aromatizzante…
… questi due strati tenderanno alla fusione in un solo sapore…
… disponiamo i filetti di pesce sul giaciglio così preparato, incastriamo negli spazi vuoti le residue fette di patata, saliamo, pepiamo ed aromatizziamo come sopra e…
… adagiamo le fettine di cappelli di brisa come nella figura… un po’ di prezzemolo fresco, qualche altro frammento aromatizzante, qualche grano di sale grosso, l’immancabile olio evo e… al forno!!!
Quanto?… se un pesce intero richiede circa 40 min/kg a 180-200 °C… per dei grossi filetti (200-250 g) ho calcolato 30 min.
Ogni tanto è bene aprire il forno e bagnare gli strati superficiali con l’intingolo che via via si va producendo…
Una spolverata di prezzemolo disidratato e frantumato dopo l’impiattamento è gustosa e decorativa…
… non avevamo mai consumato le nostre preparazioni nei canali della laguna veneta? Bene… è l’occasione!
Secondi piatti/Rombo con i porcini/Ricette d’autunno/Funghi/Porcini/Pesce/Secondi di pesce:
Mare e monti… che sprigionano tanti sapori e profumi… da provare… io ho già l’ acquolina in bocca… dovrò rimediare i funghi…
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Perché sale grosso?
Voglio proprio provare questa ricetta!
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Ahahah… temevo che un giorno sarebbe giunta questa domanda… tutti gli chef utilizzano sale grosso perché offre una migliore sapidità contro quella un po’ amara del sale fino. Però sono tutti e due NaCl, cloruro di sodio. Il secondo è più lavorato dall’industria ma sempre NaCl resta! Se il paragone fosse con i sali non raffinati la risposta sarebbe facile… la raffinazione elimina molti elementi minerali… ma sale grosso versus sale fino… l’unica variante è la forma dei cristalli… che, comunque, si sciolgono… insomma dobbiamo assumerlo come postulato “Il sale grosso è migliore di quello fino”.
Ciao ciao!
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