Perché in inglese? Poichè qui in Norvegia “cod”, ufficialmente merluzzo, indica anche il baccalà e lo stoccafisso… almeno nei ristoranti con menù in lingua celtica, cioè quasi tutti!
In effetti gli inglesi hanno “salt cod” per il baccalà e “smoked cod” o “stockfisch” per lo stoccafisso ed i Norvegesi “torsk” per merluzzo e baccalà e «tørrfisk » o “ stokkfish” per lo stoccafisso.
Nella pratica, però, chiamano tutto cod.
Perché? Non lo sanno neanche loro … probabilmente per la stessa ragione per la quale noi diciamo pasta al sugo o al pesto e, solo occasionalmente, specifichiamo se sono bucatini, trenette o altro… D’altra parte anche qui si dice spesso baccalà e si cucina lo stoccafisso.
A p.37 di “Il mio Harri’s Bar” Arrigo Cipriani dice: “Nel Veneto si fa un po’ di confusione tra stoccafisso e baccalà, così talvolta viene chiamato baccalà anche un piatto che viene invece preparato con lo stoccafisso”.
Per quanto riguarda l’acquisto il mio consiglio è quello di Arrigo: compratelo già battuto ( per sfibrarne le carni) e bagnato!
Come sempre, dopo il preambolo, si presentano i fatti: scriverò l’articolo/ricetta dal postale dei fiordi, quello in cui la navigazione ti offre il tempo di guardare e di scrivere. Uno di quei battelli che la Compagnia Urtigruten ha rinnovato per ospitare anche il turismo di una certa categoria di persone…
Tranquilli… non parlo di attempati “papponi” in viaggio con procaci fanciulle in leggings e short, ma di chi ama un’eleganza sobria, educata e colta, lontana da patetici animatori ed immancabili trenini.
Seguiremo a ritroso uno dei tanti viaggi che i Vichinghi fecero più di mille anni or sono per portare gli stoccafissi dalle isole Lofoten nell’allora movimentato porto danese di Hedeby, a volte conosciuta col nome germanico di Haithabu che è una rivisitazione della scritta runica (con gli antichi caratteri della letteratura scandinava) Heiðabý.
Era il luogo d’incontro tra costumi nordici e meridionali, tra pagani e cristiani ed è, oggi, un sito archeologico tedesco nelle vicinanze di Schleswig.
Gli intrepidi ed audaci marinai percorrevano 1600 Km per portare il pesce dal nord della Norvegia al Baltico.
Ai tempi, quell’alimento possedeva caratteristiche ben più importanti di quelle organolettiche: poteva essere conservato per anni! Immaginate il suo valore in lunghi viaggi in mare, nelle guerre, assedi, carestie…
Chi dice che questo popolo di guerrieri, naviganti e predatori abbia realmente portato il prezioso alimento nell’anticamera delle nostre terre?
Eheheh… lo dice la prestigiosa rivista PNAS: “Proceeding of the National Academy of Science!”…
… che riporta i risultati di uno studio condotto presso le Università di Cambridge e di Oslo e del Centro per l’Archeologia baltica e scandinava della citata Schleswig.
I ricercatori hanno studiato il DNA di cinque lische di stoccafisso trovate in zuppe di pesce consumate dai Vichinghi in quel luogo tra l’800 e il 1066 d.c. stabilendone la provenienza dalle isole Lofoten anche oggi principale centro di produzione dei merluzzi essiccati.
Immagino che tutti sappiano che il baccalà è merluzzo sotto sale e lo stoccafisso merluzzo essiccato all’aria gelida del nord. In quelle condizioni diventa come un bastone…stokk-fish ( in norvegese).
Ma il termine inglese stock-fish può anche significare “stoccaggio, scorta, riserva”, di vitale importanza, dunque, per i lunghi viaggi.
«La via commerciale per il merluzzo secco (v.cartina) si snodava dalla Norvegia settentrionale lungo la costa e poi verso est a Skagerrak (stretto tra la Norvegia, la Svezia e la Danimarca) e Kattegat (stretto tra la Svezia e la penisola danese) fino ad Haithabu, che era praticamente il moderno Schleswig”, ha detto al MailOnline James Barrett, uno dei ricercatori di Cambridge.
Personalmente ritengo che il ragionamento scientifico successivo ai reperti manchi… dell’anello mancante!
Chi ci dice che quei pesci si trovassero lì per essere esportati e non semplicemente come alimento dei marinai vichinghi?
Visto che, al momento, non ce lo può dire nessuno preferisco pensare, con innocente evasione, che abbiano ragione gli scienziati!
Mentre lentamente si solleva la bruma mattutina di quel gelido, nordico medioevo, inizio, infatti, a vedere l’orizzonte interrotto dalle sagome di lunghe imbarcazioni affusolate, agili e veloci, spinte da remi o da una vela quadrata. Si dirigono sicure verso di noi, verso la, ormai affollata, banchina di Hedeby. Ormeggiano noncuranti della piccola platea che si è fermata a guardarli. Sbarcano barbuti, baffuti, biondi mercanti, evidentemente provati da molte settimane di navigazione ma ugualmente fieri.
Lasciano a bordo un picchetto armato a guardia della mercanzia portando con se il necessario per preparare delle zuppe dimostrative seguendo le istruzioni fornite, in patria, dalle loro mogli.
Poi le mangiano davanti agli occhi di potenziali acquirenti.
La richiesta di assaggio stabilisce il contatto e getta le basi per la contrattazione.
Il passaparola allarga il giro e, di lì a non molto, si comincia a scrutare l’orizzonte per scorgere vele vichinghe non foriere di guerra ma… di merluzzi secchi!
La notizia si divulga ed arriva alle orecchie degli amministratori locali e poi di quelli progressivamente più importanti.
L’interesse fa stringere veri e propri contratti commerciali…
Questa parte è, ovviamente, frutto della mia fantasia ma non lo è il fatto che, dopo non molto, le navi veneziane usassero lo stoccafisso come alimento principale nelle rotte per l’oriente o per le battaglie contro i Turchi…
Da allora si è fatto qualche passo avanti dal momento che la sola Italia assorbe il 70 % della produzione di prima scelta delle Lofoten…
Questo viaggio sulle orme dei Vichinghi è, naturalmente, un gioco iniziato quando mi sono reso conto che la rotta del mio viaggio coincideva con la loro… perché non andare indietro di una decina di secoli e assaggiare tanti stoccafissi di ora come se fossero quelli di allora?
Da quanto abbiamo scoperto negli scavi di insediamenti vichinghi risulta che, in fondo, le materie prime non mancavano loro.
Dipendevano naturalmente da vari fattori: geografici, stagionali, economici ma, in generale, disponevano di abbondanza di pesci come merluzzi, aringhe, salmoni; di carni di foca, caribù, cinghiale, bovini e pecore; di prodotti caseari: latte, burro e formaggi vari tra cui lo skyr, un formaggio morbido oggi trend food; di vari tipi di bacche; di ortaggi come rape e cavoli; di alghe; di focacce d’orzo e di segale; insaporivano con aglio, cipolla, coriandolo e aneto.
Le ricette erano semplici ma ben saporite.
In questo momento sono in attesa di imbarcarmi per l’ultima tappa “navale” del viaggio, quella che mi condurrà alla meta finale. Si, proprio quella da cui partivano i Vichinghi con le imbarcazioni cariche di pelli e stoccafissi… le isole Lofoten! Sulla cartina mi trovo a Trondheim, dove c’è il segnaposto.
Il tratteggio verde indica la ferrovia che ci ha condotto da Oslo…
… a Bergen dove sprazzi di sole hanno spaccato nuvole e pioggia per mostrarci i colori delle case immerse in una natura esuberante in cui è padrona l’acqua che fragorosa e violenta scende verso i fiordi.
Oltre sei piacevoli ore per percorrere poco meno di 500 Km!… sulla mappa non ho disegnato tutte le curve necessarie ad aggirare laghi e profonde insenature.
Il piatto di cod che ci era stato proposto ad Oslo…
… consisteva in un grossolano carpaccio di stoccafisso crudo accompagnato da una salsa di pomodoro piccante (quasi calabrese), da verdure varie come rughetta, peperone, porro ed una fetta di pane di segale con le mandorle.
Diversamente da Oslo e praticamente come nel viaggio in treno la pioggia aveva bagnato per bene la cittadina ( si fa per dire perché è la seconda città della Norvegia, anche se ha meno abitanti di Firenze), ma questo non ci ha impedito di andare a zonzo per quasi due giorni…
… e non ha nemmeno compromesso la visita al migliore ristorante dove non è mancato l’assaggio di stoccafisso…
… qui le cose si complicavano un po’, d’altra parte la pretesa gourmet richiede che si faccia qualcosa di più.
A volte, questo “di più”, dovrebbe consigliare gli chef, o sedicenti tali, a non andare al di là delle proprie capacità e lasciare le invenzioni ad altri. In altre occasioni, come nel nostro caso, il risultato è eccellente.
Lo stoccafisso è scottato e croccante su un lato, la salsa verde è di prezzemolo e spinaci e quella giallina, che viene aggiunta a tavola, è brodo di pollo caldo.
La sera successiva ci siamo imbarcati su una delle undici navi della Compagnia Hurtigruten…
… che, dal 1893 si è impegnata a soddisfare il “viaggio espresso” lungo le coste norvegesi da Bergen fino all’estremo nord in qualsiasi stagione e con ogni tempo.
La posta che, prima di tale data, impiegava 3 settimane d’estate e 5 mesi d’inverno per arrivare dalla Norvegia centrale a Hammerfest (praticamente estremo nord delle terre), da quell’anno, ha impiegato 7 giorni.
Qui è iniziato il viaggio contrassegnato sulla carta dai pallini blu. In una ventina d’ore di navigazione abbiamo raggiunto il fondo del suggestivo fiordo di Geiranger.
La sera in nave abbiamo cenato alla carta e non ci siamo fatti mancare il nostro pesce…
… questa volta era bollito e riposava su un risotto d’orzo tirato con brodo di carne e sovraccarico di tutte le verdure dell’orto e, come se non bastasse, guarnito con un concentrato di carne.
Limone, lime e aneto li vedete…
Durante la navigazione nel fiordo, della durata di circa cinque ore, abbiamo avuto un secondo assaggio di di quella natura nordica al contempo dolce nei toni e prorompente nelle forme che incastona piccole costruzioni colorate che diffondono, nelle immagini fotografiche, la loro tonalità a tutto l’ambiente circostante…
L’indagine ittica non ha, comunque, avuto tregua perché mi sono concesso una colazione del tutto particolare…
… baccalà a colazione? … che c’è di male?
Nulla!… se non fosse per l’uovo al tegamino, la crêpe e del bacon che, fortunatamente, non è inquadrato, in accompagnamento… tanto è notorio che i salutisti vivono meno e peggio!
Quante volte avete sentito dire: non fumava, non beveva, non toccava grassi, fritti, dolci…
Per carità! Non raccontate queste insalubri considerazioni al cardiologo!
Quello che vedete, però, contorno a parte, sarebbe accettato anche dai proibizionisti del cibo.
Questa volta il merluzzo, al solito, in grossolano carpaccio è unicamente condito da aneto.
Il pomeriggio è trascorso a spasso, in parte a piedi e, in parte, con una macchinetta elettrica dell’hôtel…
… la sera c’era una simpatica cena a buffet nella quale cosa ho scelto come main course?
Ebbene si! Sempre lui… il cod!…
… era stracotto (nel senso letterale del termine) in una salsa di pomodoro moderatamente piccante e speziata, mandorle e aneto… le patate le ho aggiunte io…
Il giorno successivo abbiamo raggiunto, ripercorrendo il fiordo al contrario, Ålesund, graziosissima cittadina totalmente ricostruita “Art nouveau” all’inizio del ‘900, dopo che un incendio, col favore del forte vento, la distrusse quasi completamente.
È venuto automatico che la nostra attenzione si sia rivolta prima ad essa che allo stoccafisso… sia di notte…
… che di giorno…
Qui l’assaggio è stato doppio perché abbiamo comandato due preparazioni diverse… d’altra parte abbiamo cenato in un ristorante che non aveva che stoccafisso (anche appeso ai muri dell’ingresso) e qualche antipasto che nessuno ordinava: era evidente che tutti vi si recavano per una “pappata di quel pesce”.
La prima ricetta vedeva il trancio immerso in una salsa piuttosto liquida di pomodoro in cui erano stati cotti grossolani pezzi di pelati, peperoni, porro, cipolla bianca e olive nere.
Una “pozione” assai simile ma con l’aggiunta di bacon la chiamavano… “all’italiana!”… mah!…
La seconda era con una salsa al curry ricca dei soliti ortaggi grossolanamente tagliati ( mezzaluna e tritatutto sono accessori inutili presso di loro) e dei cubetti di formaggio.
La sera del giorno seguente ci siamo reimbarcati su altro battello bianco, rosso e nero della Compagnia norvegese per raggiungere Trondheim.
Questa volta avevamo scelto la pensione completa ed abbiamo dovuto interrompere la “catena del baccalà” perché il menù era ottimo ma non prevedeva quel pesce.
Siamo giunti a destinazione la mattina presto per poi riprendere, il giorno dopo, il traghetto successivo… il giro della città è stato interessante… e…
… la sera abbiamo prenotato un ristorante a menù fisso in un ambiente chic, con sala da pranzo collocata nella platea di un teatro, con una cucina ed un servizio decisamente di rango e convincenti… la prima portata cos’era?
… crudo di stoccafisso con cetriolo, alga, carota, aneto, uova di pesce ed una crema calda di cozze aggiunta alla fine.
Il giorno dopo ci siamo imbarcati per l’ultima tappa del viaggio, quella da cui avevamo iniziato il racconto… questa volta a bordo della Polarys, altro postale della Hurtigruten e, come sempre, bianco, rosso e nero…
… nei due successivi giorni la navigazione è continuata in acque calme, tra la costa e le isole che la riparano dal mare aperto costeggiando le rive che apparivano sempre “a portata di mano”.
Essendo rimasto un “postale”, il battello si muoveva nell’arcipelago con una manovrabilità impossibile alle grandi navi facendo molte tappe in cui i passeggeri si divertivano ad assistere agli approdi in piccoli porti.
In questo tragitto dolcemente lento di oltre cento chilometri, si è contemplata una costa fatta di montagne incombenti incise da torrenti e prati verdissimi fioriti di piccoli gruppi di case colorate con tinte pastello.
Dopo una breve sosta a Bodø è iniziata la traversata in mare aperto verso le isole Lofoten, meta finale del nostro viaggio. La musica è lievemente cambiata e si è “ballato” un pochino.
L’arrivo dal mare ha offerto una visione suggestiva ma irreale e riduttiva.
Quella sera c’era maltempo ma siamo stati consolati da un upgrade della Hertz che ha trasformato la piccola Wolkswagen prenotata in grande Nissan… nei giorni successivi i circa 600 km percorsi con questa compagna docile e sicura ci hanno mostrato la terza dimensione…
… interminabili strade serpiginose che collegano, con ponti e tunnel sottomarini, una moltitudine di isole con montagne vaste, violente e verdi che si ergono da un mare sorprendentemente blu e turchese.
L’acqua di laghi sovrapposti tracimava alimentando, fragorosa, i sottostanti e raggiungeva il mare quasi sempre in modo pacato, come se avesse esaurito la carica di vigorosa.
L’intermezzo di lunghe e larghe spiagge bianchissime poneva il dubbio di avere sbagliato aereo. A convincere del contrario era la loro scomparsa e riaffioramento sotto l’effetto delle maree e non di un miraggio dovuto all’eccesso di lofotenpils!
Gli innumerevoli villaggi di pescatori con case colorate su palafitte in riva al mare non inducevano a pensare di trovare la « bouticchina »… poiché era evidente di non essere a Positano ma in un vero villaggio di marinai… quelle che vedete nella foto sono le griglie alle quali , a febbraio, appenderanno i merluzzi per farli diventare stoccafissi…
Senza farci scorgere dalla Nissan, in una mattina di sole, si è commesso un innocente tradimento: abbiamo, con altri, noleggiato potenti gommoni condotti da simpatici « Vichinghi » che ci hanno portato a far visita alle aquile.
Il gommone, un bimotore entrobordo da 1000 CV, ci ha condotto, alla velocità di 35 nodi, in un magnifico fiordo densamente popolato dai rapaci.
In effetti, di fronte al nostro stupore, hanno confessato che le aquile, quando vedono il giallo/verde delle nostre tute,… sanno che rimediano il pranzo e cominciano a volteggiare nel cielo descrivendo cerchi discendenti progressivamente più stretti… fino ad arrivare a portata di teleobiettivo…
A un certo momento il fiordo sembrava Piazza San Marco con Harry Potter che trasformava i piccioni in rapaci.
In Norvegia risiede il 60 % delle aquile europee ( specie protettissima) e la metà di queste sta alle Lofoten.
Diversamente dal gabbiano, l’aquila non si posa sull’acqua dalla quale non riuscirebbe a risollevarsi e deve catturare la preda con gli artigli planando su di essa…
Spero egoisticamente che i luoghi da rotocalco, le balere da sballo, le spiagge di palestrati, la movida e i sederi al centro del cosmo continuino a trattenere la massa lontano da qui dove i ristoranti chiudono alle 10.00 e le discoteche praticamente non esistono.
La gente va a fotografare aquile o balene, a fare trekking o ascensioni sulle montagne, surf o battute di pesca di grandi salmoni… a proposito di pesce… ci stiamo dimenticando dello stoccafisso!
Non so se ci avranno proposto proprio il massimo perché, come detto la maggior parte della loro produzione di prima scelta va in Italia.
Qui alle Lofoten lo stoccafisso lo chiamano, non a caso, skrei (merluzzo migratore): il Gadus Morhua, pregiato pesce del gelido Mare di Norvegia abbandona, infatti, il suo habitat naturale per deporre le uova nelle isole Lofoten proprio nel periodo ideale per la sua essiccazione: febbraio/aprile… mal gliene incoglie!
Le reti vengono calate in modo da avvolgere il branco e ritirate prima che affondino… se ne possono catturare tonnellate in una sola battuta di pesca.
É importante che venga pulito il giorno stesso tagliando la testa a livello dell’arcata branchiale e sezionando la colonna alle prime vertebre dorsali. In tal modo si favorisce lo scolo dell’acqua attraverso di essa.
Anche le interiora vanno rimosse accuratamente.Vengono, poi, appesi legati due a due alle rastrelliere mantenendo una certa distanza di aerazione tra loro e con il ventre rivolto verso nord per evitare che la pioggia, che viene preferibilmente da sud, lo bagni.
L’essiccazione dura tre mesi all’aperto ed un ulteriore periodo in magazzini ventilati.
Rispettate queste regole di base ci sono molti altri controlli che condizionano il grado di qualità dello stoccafisso che viene suddiviso in prima e seconda scelta non presentando, quest’ultima, che piccoli difetti impercettibili ai non addetti.
Qui, nella patria della riproduzione degli ignari merluzzi, ci siamo dedicati a due assaggi.
Il primo è stato quello più scontato e romanesco… il filetto impastellato e fritto…
Viene presentato con le verdure di campo e patate fritte. Praticamente « fish and chips ». Quel che è subito stato evidente è che quello stokkfish, probabilmente di seconda scelta, era migliore del nostro miglior baccalà!
Il secondo, ugualmente tradizionale, conteneva un trancio del pesce in una crema di crostacei grassa ( vedi colore ) ma buona…
In accompagnamento, a parte aneto e prezzemolo, c’erano dei broccoli in crema, in foglie ed in pezzi. “Se non son broccoli non ce li vogliamo”… diceva mio suocero!… anche se si riferiva a certe assunzioni…
Il rientro ad Oslo è stato ritardato dal maltempo che qui, in regioni circumpolari, non scherza… dopo un giorno di attesa ci hanno trasferito in altro aeroporto distante un paio d’ore di taxi dal quale un intrepido pilota, con un turboelica…
… ha aggirato la tempesta conducendoci, un po’ impauriti ma sani e salvi, a Bodø. Di li ci siamo imbarcati su volo di linea per Oslo dove, per ammorbidire il rientro a Roma, ci siamo concessi una pizza da Olivia…
… una catena di ristoranti italiani: 4 a Oslo, 2 a Bergen, 1 a Trondheim ed 1 a Stavanger con dell’ottima pizza!
Questo viaggio sulla rotta vichinga, organizzato nei particolari da mia moglie Nicoletta, ha unito il piacere, all’avventura, alla ricerca di spunti per esaltare lo stoccafisso che, da oltre dieci secoli, i Vichinghi ci hanno fatto apprezzare.
Ma chi era questo popolo?… Predatori? Avventurieri? Guerrieri? Mercanti?
Probabilmente e in tempi diversi tutte queste cose…
La loro comparsa sullo scenario mondiale avvenne verso la metà dell’VIII sec.d.C. Nei tempi precedenti erano una specie di Partito Democratico: non andavano d’accordo neanche in tre! Ma mentre l’uno lascia sul campo di battaglia i voti gli altri ci lasciavano i morti.
Queste continue lotte tra decine di piccoli Regni li addestravano alla battaglia, anzi, alla ferocia! Nel tempo, diversamente dal PD, si unirono in una società militarizzata che iniziò ad espandersi grazie alla progressiva conoscenza, nel corso del VII sec., della navigazione a vela.
Le loro navi con la classica testa di drago erano affusolate e simmetriche: potevano, all’occorrenza e rapidamente, invertire la rotta trasformando la poppa in prua. La propulsione poteva passare dal vento ai remi alzando o abbattendo l’albero in pochi minuti.
Le costruivano da carico o da guerra, erano resistenti, flessibili, piatte e leggere: la più piccola di queste ultime (14 m) poteva essere trasportata via terra dal mare ai fiumi e le più grandi avevano, a vela, una velocità di 15 nodi!
L’inizio dei saccheggi sulle coste del nord-Europa, Francia, Inghilterra vide poche imbarcazioni piene di soldati super-armati che, dopo uno studio furtivo della preda, la attaccavano a sorpresa. Rapidamente e ferocemente la annientavano e saccheggiavano lasciando i cadaveri nei campi. Con altrettanta rapidità, si allontanavano prima che si potesse organizzare una reazione.
A farne le spese furono centinaia di piccoli villaggi e monasteri. I sopravvissuti andavano, anche grazie all’assenza della CGL, ad alimentare una grande risorsa della società vichinga: la schiavitù .
Nel tempo i bottini con cui tornavano in patria convinsero molti giovani ad arruolarsi e le poche imbarcazioni divennero molte decine e i soldati… un esercito!
Nel corso del IX e X sec. colonizzarono grandi aree della Francia e dell’Inghilterra, raggiunsero ad occidente l’Islanda, la Groenlandia, il Canada e, forse, il nord-America.
A oriente, anche grazie alla profonda conoscenza di mari e fiumi come il Dnepr e il Volga, arrivarono in Russia orientale, al Mar Caspio e al Mar Nero. Sulle loro coste fondarono insediamenti che aprirono la strada del commercio con i Bizantini turchi di Costantinopoli, gli Arabi afgani, iraniani…
Coloro che si installarono in quei luoghi dettero origine alla popolazione multietnica dei Rus.
Quelle flotte che nell’Europa occidentale erano foriere di morte e saccheggi qui portavano mercanzie e schiavi. Nei bazar degli insediamenti del Mar Caspio questi ultimi erano merce preziosa e i Musulmani pagavano fior di Dirham (monete d’argento) poiché il Corano non prevedeva il possesso degli Islamici nati liberi.
I Vichinghi amavano adornare se stessi e le loro dimore con il frutto dei saccheggi e degli scambi commerciali più preziosi come gioielli d’oro e d’argento di delicata fattura, abiti di seta cinese, ceramiche, oggetti in vetro…
Anelli, collane, spilloni raccontavano storie di conquiste, avventure e sprezzo del pericolo.
Negli scambi, schiavi a parte, offrivano pellicce, avorio di tricheco, ambra, miele, cera d’api…
Insomma… se lo stoccafisso non è stata l’unica anima del loro commercio sicuramente è la più duratura… e a noi va benissimo: le pellicce non vanno più, l’avorio e gli schiavi sono proibiti, ai gioielli ci pensano gli spasimanti, al resto pensa Amazon…
Ora non ci resta che la famosa ricetta… potremo usare baccalà o stoccafisso.
Non ne immagineremo una complessa né derivata da quelle testate ma cercheremo di chiudere gli occhi e farci permeare dalle sensazioni provate.
Ma prima di fare ciò rammentiamo di essere nel Paese consumatore della maggiore quantità di stoccafisso di prima scelta… ricordiamoci anche di essere gli indiscussi detentori mondiali del buon gusto in ogni campo… e proponiamo una delle migliori ricette della nostra tradizione.
Scelgo, a mio piacere, lo “stoccafisso alla vicentina”. Come tutte le ricette della tradizione ne esistono molte varianti ed io proporrò una via di mezzo tra la preparazione di mia madre, calabrese di origine ma padovana di nascita, e come lo fa mia moglie, romana, che ha ricevuto qualche “dritta veneta ” dall’amico Arrigo Cipriani. Anche lui, come abbiamo già detto e come molti veneti, parla di baccalà alla vicentina o alla veneziana intendendo lo stoccafisso.
Quest’ultimo, qui a Roma, al contrario del baccalà, non è facile da reperire. Le regioni che ne fanno largo uso sono la Calabria, la Campania, la Liguria, il Veneto e la Sicilia. Si aggiungono due “isole” cittadine: Ancona e Livorno.
La preparazione inizia con la polverizzazione di un bastoncino di cannella e facendo andare, a fiamma medio/bassa, in olio evo e aglio, della cipolla bianca o dello scalogno (se si desidera una nota più delicata ed aromatica). Quando imbiondisce si aggiungono delle acciughe dissalate che vengono frantumate fino a sciogliersi. Si alza la fiamma e si sfuma al vino bianco…
Si mette da parte il composto e si infarina lo stoccafisso che avremo prima spinato, spellato, e tagliato in pezzi (in genere lo fa il venditore sotto i vostri occhi).
Si dispongono i pezzi in una pirofila, si polverizza del parmigiano e la cannella già preparata, quindi si aggiunge il composto di cipolla e acciughe.
Si versa latte intero fino a coprire tutto il pesce e si inforna a 180-200°C. Il piatto è pronto quando il latte sarà quasi completamente assorbito e addensato… sono necessari 60-90 min.
Mi raccomando di gustare tutto l’intingolo e di finirlo con una bella “scarpetta”… magari in “fil di forchetta”!
È, per i tenaci che hanno letto fin qui, finalmente, giunta l’ora di passare dalle immagini all’immaginario.
Zuppe archeologicamente rinvenute a parte, i Vichinghi usavano mangiare pesce crudo e qui in Norvegia l’abitudine sembra tutt’altro che tramontata.
Attenzione: l’anisakis, il parassita dei pesci che può colpire occasionalmente l’uomo con conseguenze anche gravi, non muore né con la salatura né con l’essiccazione. Il merluzzo non fa eccezione e se volete consumarlo crudo dovrete prima abbatterlo.
Immaginiamo, allora, una tartare al posto dei vari carpacci provati in viaggio… e cerchiamo di ricordare gli aromi più convincenti che hanno accompagnato quei crudi di stoccafisso… facciamo riaffiorare ciò che è sedimentato nella memoria olfattiva e gustativa… il primo che emerge è quello dell’aneto.
Non so se per reale percezione o sistematica presenza, ma la sua ingombrante e, al contempo, discreta comparsa nei piatti norvegesi in generale è una nota armonica ed ancestrale. In quelle regioni lo si trova anche fresco; da noi è più difficile ma quello essiccato rende, forse anche meglio, l’aroma!
In Norvegia, come in Francia ed in tutto il nord-Europa si fa largo uso di cipolla. Sebbene la ritenga fondamentale per una tartara la sostituirei con il cugino scalogno che è più delicato, più garbatamente aromatico e non lascia tracce nell’alito.
A quello penserà l’aglio! Poco, molto poco ma ci vuole! Anche senza la parte centrale dello spicchio (popolarmente detta pennetta) quando fatto a pezzetti, tritato o spremuto, offre un aroma fortissimo e persistente… mettiamone la metà di quello che ci sembra poco!
Nei paesi scandinavi usano guarnire ed insaporire con uova di pesce, soprattutto salmone. Trovo l’abitudine interessante poiché il colore è appagante per la vista, la sapidità offre una salatura naturale al boccone ed il sapore non è mai stonato.
Lo zenzero ci darà la nota speziata che ritengo esalti un piatto di crudo.
Il limone è d’obbligo ma lo sostituirei con altro cugino: il lime. Pur essendo ugualmente agro (contiene fino al 6% di acido citrico) ha un succo profumatissimo.
La menta?… quella è una mia idea: sta bene con tutti gli altri ingredienti ed è una nota diversa!
Pepe: probabilmente sarebbe più indicato quello bianco ma sono tenacemente legato alla personale abitudine di usarlo nero in grani appena tritati.
Sale: assaggiate prima di salare perché con baccalà e stoccafisso… non si sa mai!
La polvere di prezzemolo disidratata serve più alla coreografia che alla realizzazione del piatto.
Non manca che l’olio evo e qui non devo dire nulla perché, in Italia, ognuno ha il proprio fornitore di fiducia che è il migliore… e sono tutti eccellenti!
Nelle prossime preparazioni potremo anche testare timo, rafano, finocchio e capperi. Ma veniamo alle immagini…
Eccoli!… i dieci elementi… ne manca solo uno… lo stoccafisso!
Spellato, spinato e tagliato a pezzetti. Non resta che unirlo all’intruglio…
… ed amalgamarlo bene…
Troppo facile? Già… allora divertiamoci con gli stampini…
… la carta viene, poi, sfilata e si completa il piatto con le uova di salmone e la polvere di prezzemolo…
Bravi!… se siete giunti fin qui una bella tartara ve la siete meritata!
Antipasti di pesce/Baccalà/Baccalà alla vicentina/Pesce/Piatti per ogni stagione/Piatti unici/Secondi piatti/Stoccafisso/Tartare di baccalà.
Il ven 5 ott 2018, 07:57 Le ricette di Mimmo ai fornelli ha scritto:
> Mimmo Paolicelli posted: “Perché in inglese? Poichè qui in Norvegia “cod”, > ufficialmente merluzzo, indica anche il baccalà e lo stoccafisso… almeno > nei ristoranti con menù in lingua celtica, cioè quasi tutti! In effetti gli > inglesi hanno “salt cod” per il baccalà e “smoked cod” >
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