Frittura di latterini e salvia.

I latterini, chiamati, a Roma, lattarini o anche argentini, non per la nazionalità ma per il colore argenteo brillante, sono pesci azzurri piccoli come il mignolo di un bambino che ricordano la “neonata” o “nunnata” dei siciliani!

Conservano modeste dimensioni anche da grandi, in caso di improbabile senescenza, possono raggiungere i 10 cm al massimo.

La neonata è costituita di pesci ancor più piccoli, appena nati: soprattutto sarde e alici, detti bianchetti, ma anche triglie, pagelli o altri. Vengono catturati con le reti a strascico e, se non divorati subito, potrebbero raggiungere dimensioni maggiori.

Il tipo di pesca, comune per tutti, potenzialmente dannoso per il patrimonio ittico dei nostri mari, è regolato da una legislazione che stabilisce dei fermi biologici.

Per essere più onesti e precisi potremmo considerare la pesca del novellame, che include anche molluschi e crostacei, un insulto alla natura che “lascia il tempo che trovaperché è sulla strada della proibizione!

Comunque sia… qualcuno, lassù, pensa ai piccoli ! È, infatti, sempre più raro e limitatamente ad alcuni periodi, trovarne sul banco del mercato!

La tradizione vuole questi pesci prelibatezza della zona delle Cinque Terre, della Calabria e della Sicilia. Ma siccome progresso e realtà sono, spesso, contraddizione della tradizione li ho, ancora una volta, trovati a Roma.

Non erano i bianchetti di sardina che sono reperibili nei mesi invernali e neanche quelli di acciuga sebbene tipici dei mesi estivi.

Questi pesci azzurri, detti bianchetti perché diventano tali con la cottura, appena nati, si presentano, al mercato, come una massa gelatinosa, opalescente e translucida costituita da elementi di una manciata di mm.

La mia neonata non era, come detto, costituita dai celebri e sfortunati bianchetti, ma dai meno rinomati ma, altrettanto jellati, latterini.

E la salvia? Le ragioni della scelta sono essenzialmente tre:

1) trovo che l’abbinamento del profumo abbastanza neutro del pesce azzurro con quello deciso di quell’erba aromatica sia efficace

2) avevo, molti anni fa, apprezzato la salvia fritta in pastella come componente un antipasto di una cena consumata in un ghiotto ristorante fiorentino.

3) ne ho un “cespuglio” in terrazza!

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Per la pastella? Acqua, farina e sale!

La “letteratura” culinaria è debordante di proposte ma trovo che il semplice terzetto ci possa offrire un buon cavallo vincente.

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L’olio?

L’opinione comune è che per una buona frittura sia preferibile un olio di semi di girasole, arachidi… un olio che abbia un alto punto di fumo. Delle minoranze preferiscono comunque l’olio evo ed altri ancora mischiano le due varietà in proporzioni variabili.

Per orientarsi e farsi un’idea personale ma ponderata sull’argomento è necessario fare qualche considerazione.

1) che cos’è il famoso punto di fumo?

Altro non è che la temperatura alla quale un olio fa fumo perché comincia a bruciare. A tal punto si altera perdendo nutrienti e formando sostanze tossiche. La più pericolosa è l’acroleina o aldeide acrilica che si libera per la degradazione termica del glicerolo ed è nociva per il fegato e la mucosa gastrica.

2) come si calcola?

Il modo più semplice ed empirico è quello descritto: si aumenta progressivamente la temperatura dell’olio fino a quando non produce un fumo bianco, acre e pungente dato, per l’appunto, dall’acroleina che si volatilizza.

Esso viene, però, calcolato anche in base a formule matematiche che tengono conto:

A) del contenuto di acidi grassi liberi, cioè non legati al glicerolo: più acidità libera equivale ad un punto di fumo più basso ed ad una potenziale maggiore nocività: per esempio, un olio che contiene 0,04% di grassi liberi avrà un punto di fumo di 220°. L’olio evo ha una bassa acidità libera!

B) la presenza di acqua. In questo caso il punto di fumo può variare, nello stesso olio, a seconda delle modalità di cottura. Quando aggiungiamo erbe aromatizzanti fresche, vegetali o anche carne o pesce viene liberata l’acqua contenuta in questi alimenti che idrolizzando gli acidi grassi dal glicerolo aumenta l’acidità libera dell’olio e ne abbassa il punto di fumo. Per questa ragione bisogna usare l’olio, qual ch’esso sia, una sola volta!

3) qual’è la temperatura ideale per friggere?

160°C circa!

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Da quanto esposto credo che possiamo trarre delle evidenti conclusioni:

Il punto di fumo dell’olio d’oliva si aggira intorno ai 210 °C, quello degli olii di semi vari che il mercato offre per la frittura si trova a 220 – 240 °C. Tutti questi valori sono ben lontani dai 160 °C ai quali si dovrebbe friggere. Ne consegue che, per quanto concerne il rischio per la salute, un olio vale l’altro.

Appare viceversa importante friggere alimenti il più possibile privati dell’acqua e, siccome ciò non può essere ottenuto completamente, cambiare spesso l’olio.

Osservata, dunque, la temperatura di frittura, la parziale disidratazione dell’alimento ed il rinnovo dell’olio dopo ogni utilizzo, passiamo alla nostra scelta!

La caratteristica dell’evo è proprio quella di avere carattere… lui è l’olio, quello degno del nome, quello denso e verde, quello fatto con le olive, quello dall’aroma inconfondibile e che, quando fresco, pizzica il palato!

Questa qualità può, però, stonare in determinate occasioni… ve li immaginate dei gamberi o dei filetti di baccalà che sanno di oliva? Più facile pensarlo con una frittura di zucchine o di carciofi… più facile ancora immaginare gli stessi ortaggi fritti in olio di semi con una variabile quantità di olio evo…

… ed è, a mio avviso, proprio questa variabilità il termine della questione: ritengo che ogni frittura deva essere fatta in olio di semi ed una mutabile proporzione di olio evo…

… la mutabilità deve tenere conto, oltre che del prodotto, anche del suo involucro… panature varie, pastelle o semplice infarinamento hanno diverse capacità di assorbimento degli aromi verdi e pungenti…

Pesci e salvia li abbiamo, la pastella pure, l’olio di semi con una piccola aggiunta di olio evo aromatizzante a 168 °C anche, cominciamo la frittura…

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… asciughiamo un po’ d’olio con carta assorbente…

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… e di corsa a tavola perché calda è …

“più buona assai!”

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