Eh si! in quasi tutta Europa le cozze vengono chiamate con termini che somigliano al “muscolo”: presso i francofoni sono, infatti, moules (muscle è muscolo) , per gli anglofoni sono mussels (muscle è muscolo), nelle popolazioni germaniche muscheln (muskel è muscolo)… Il termine coincide completamente a La Spezia ed in buona parte della costiera Toscana dove sono “muscoli”, ad Ancona compaiono come mòscioli, però diventano peoci (pidocchi) a Venezia, denti di vecchia a Chioggia… chissà in Val Gardena ?
L’acquisto del bivalve prevede mitili delle stesse dimensioni, a meno che non si voglia fare un mosaico per la presentazione del piatto… segue un’accurata pulitura che comprende lo “strappo” di quello che i tarantini chiamano “zoca” e che è la fibra resistentissima alla trazione di L-3-4-diidrossifenilalanina che la ancora al supporto.
Cosa si può dire delle cozze? Mah … non saprei… la loro vita privata è un po’ monotona e consiste nel filtrare di continuo litri d’acqua trattenendone virus e batteri ed anche per il sesso la situazione non è molto più eccitante: il maschio e la femmina emettono rispettivamente spermatozoi e uova nell’ambiente marino. Questi, incontrandosi, generano la larva… insomma, mangiandole, non dobbiamo avere il rimorso di averle private di brillanti prospettive…
Per l’apertura del mollusco conosco due tecniche: la prima è quella tradizionale di mamma e papà e che conoscete tutti, magari con una sfumata di vino bianco a fuoco alto durante la “schiusa”delle valve. La seconda è la più laboriosa e sofisticata procedura della mia amica tarantina Maria. Lei le apre crude, una per una, come le ostriche! Certo è indiscutibile la superiore organoletticità del prodotto sottoposto ad una sola cottura, però… che fatica! Propongo la famosa via di mezzo: fino a quattro commensali, apertura di Maria, oltre… olio, aglio, peperoncino, fuoco, coperchio e sfumata…
Ma ecco che arriva il segreto!!! Ahahah… di Pulcinella!!!
… staccare il mollusco dalla valva alla quale è ancorato e, quindi, riposizionarlo in essa! Questo permette, con buona pace della Corte di Francia mentre attendeva l’arrivo delle posate ordinate a Firenze, di non insudiciarsi le dita toccando il cibo ma di mangiare “in fil di forchetta e cucchiaio”.
Per colmare le valve affogando il mollusco: pangrattato, prezzemolo, gruyère, ed una, poco audace, spremuta d’aglio. Amalgamare bene e, poi, allungare con il liquido filtrato dalla cottura delle cozze fino a raggiungere la consistenza desiderata.
Si inforna a 180 °C completando la breve cottura con il grill…
La presentazione ? Beh … quella sopra è migliorabile …
Ottima ricetta che ho passato a Maresa che mi ha detto di conoscerla e che lei fa esattamente così.
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Ok.
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Grazie mimmo
Il piatto è uno dei miei favoriti , ricordo da bambino quando sul lungomare di Nettuno c’erano le bancarelle dei frutti di mare , naturalmente crudi, e le cozze si mangiavano con una spruzzata di limone. Oggi continuo a mangiarle in tutti i modi ma , purtroppo, cucinate. Grazie di questa ricetta a presto per nuove esperienze
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